Report WWF: l’effetto clima colpirà paradisi naturali
- L’Amazzonia potrebbe perdere il 69% delle sue specie vegetali
- Nell’ Australia sudoccidentale l'89% degli anfibi potrebbe estinguersi localmente
- Nel Madagascar il 60% di tutte le specie sarebbe a rischio di estinzione locale
- Le boscaglie del fynbos nella regione del Capo Occidentale in Sud Africa, che stanno vivendo una fortissima siccità con carenze idriche significative verificatesi anche a Città del Capo, potrebbero affrontare estinzioni locali di un terzo delle specie presenti, molte delle quali sono uniche di quella regione
Mediterraneo bollente. Il Mediterraneo è tra le Aree Prioritarie per la biodiversità più esposte ai cambiamenti climatici, in cui basterebbe un cambiamento climatico “moderato” per rendere vulnerabile la biodiversità: anche se l'aumento delle temperature si limitasse a 2 °C, quasi il 30% della maggior parte dei gruppi di specie analizzate di piante ed animali sarebbe a rischio. Continuando con gli attuali andamenti, senza cioè una decisa diminuzione delle emissioni di gas serra, la metà della biodiversità della regione andrà persa. Le specie più a rischio sono le tartarughe marine (si tratta di tre specie, la più diffusa è la Caretta caretta) e i cetacei, presenti in Mediterraneo con 8 specie stabili e altre 13 presenti occasionalmente, tutti in sofferenza già per altri tipi di impatto antropogenici.
Tra i potenziali effetti:
• Pressione sulle riserve idriche degli elefanti africani - che hanno bisogno di bere 150-300 litri di acqua al giorno
• Il 96% delle aree di riproduzione delle tigri delle Sundarbans in India potrebbe essere sommerso dall’innalzamento del livello del mare
-Una riduzione degli esemplari maschi di tartarughe marine dovuta all’aumento di temperatura (che determina il sesso dei piccoli) sui nidi. (Infatti con temperature più calde nascono più femmine)
Qualora le specie fossero in grado di spostarsi sul territorio occupando nuove aree più adatte, il rischio di estinzione locale diminuirebbe dal 25 al 20% (nel caso di un aumento della temperatura media globale di 2 °C). In caso contrario, queste sarebbero destinate ad estinguersi. La maggior parte delle piante, anfibi e rettili (come orchidee, rane e lucertole), infatti, non hanno capacità di spostarsi abbastanza velocemente per stare al passo con questi cambiamenti climatici.
Dichiara Donatella Bianchi Presidente di WWF Italia
"Quella che oggi siamo chiamati ad affrontare è una vera emergenza planetaria. Il rischio che molti dei luoghi più affascinanti come l'Amazzonia e le Isole Galapagos e alcune aree del Mediterraneo, potrebbero diventare irriconoscibili agli occhi dei nostri figli non solo viene confermato dai dati della ricerca ma diventa ben più drammatico di quanto immaginavamo. Metà delle specie non sopravviverebbe al cambiamento climatico. Splendide icone come le tigri dell'Amur o i rinoceronti di Giava, vissuti sulla terra per 40 milioni di anni rischiano di scomparire, così come decine di migliaia di piante e altre piccole creature, fondamentali per la vita sulla terra.
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Nota informativa: La ricerca è stata sottoposta ad una peer-review ed è stata pubblicata il 14 marzo 2018 nella rivista accademica Climatic Change. Il riferimento è The implications of the United Nations Paris Agreement on Climate Change for Globally Significant Biodiversity Areas by Warren, R.1, Price, J.,
VanDerWal, J., Cornelius, S., Sohl, H.
Mediterraneo bollente. Basta un cambiamento climatico “moderato” per rendere vulnerabile la biodiversità dell'area mediterranea: anche se l'aumento delle temperature si limitasse a 2 °C, quasi il 30% della maggior parte dei gruppi di specie analizzate di piante ed animali sarebbe a rischio. Continuando sul regime attuale, senza cioè una decisa diminuzione delle emissioni serra, la metà della biodiversità della regione andrà persa. E' quanto sottolinea il Report "Focus WWF sul Mediterraneo".
Le specie più a rischio. Tartarughe marine (tre specie, di cui la più diffusa è la Caretta caretta) e i cetacei, presenti in Mediterraneo con 8 specie stabili e altre 13 presenti occasionalmente, sono le specie più colpite, anche perché già in sofferenza per altri impatti. Per le tartarughe i problemi principali sono legati soprattutto ai processi riproduttivi: dato che è la temperatura a determinare il sesso dei nascituri, l'aumento delle temperature puo' provocare uno squilibrio tra i generi, con la nascita di sempre meno maschi, come avviene già in Australia. Inoltre, l'aumento del livello del mare, delle maree e degli eventi meteorologici estremi provocati dai cambiamenti climatici, già oggi provocano la distruzione di molti nidi. Sono vulnerabili agli impatti climatici sia i cetacei (ad esempio, temperatura e salinità dell'acqua marina influiscono sulla distribuzione dell’unico cibo della balenottera comune nel Mediterraneo: il krill) che grandi migratori pelagici come i tonni (dato che variazioni della temperatura dell'acqua impattano sulla funzione cardiaca, sull'attività di deposizione delle uova e sulla crescita larvale), ma anche squali e razze: le fluttuazioni del clima possono disturbare la struttura delle comunità influenzando la crescita e la riproduzione (in quanto sono animali dai bassi tassi riproduttivi). Oltre agli aspetti fisiologici, i cambiamenti climatici possono influenzare fortemente presenza e distribuzione delle prede naturali di squali e razze. "Il Mediterraneo è tra le Aree Prioritarie per la biodiversità più esposte ai cambiamenti climatici: l’innalzamento delle temperature probabilmente supererà la variabilità naturale del passato, rendendo questa zona del pianeta un hotspot dell’impatto climatico. Dovremo aspettarci periodi di siccità in tutte le stagioni, con potenziali stress da calore per ecosistemi e specie terrestri più sensibili come le testuggini e le tartarughe d'acqua dolce, o per gli storioni: questi ultimi sia per il cambiamento del regime di salinità sia per la riduzione dell'areale idoneo, combinazione drammatica per specie già fortemente indebolite dalla pesca illegale”.
SPECIE SIMBOLO A RISCHIO NEL MONDO
• Il leopardo delle nevi si è adattato a vivere in territori estremi come le alte vette himalayane. In questi territori oltre i 3.000 m di altitudine il margine per poter rispondere ai cambiamenti provocati dal riscaldamento globale è praticamente nullo. I suoi territori di caccia si sono ridotti e svuotati di prede, dato che la scomparsa di nevi e ghiacciai ha offerto nuovi territori all’allevamento di yak e ovini, alimentando il conflitto con le comunità locali. Tutto ciò potrebbe portare lo snow leopard ad una maggiore competizione diretta su cibo e territorio di caccia con il leopardo comune, aggravando una situazione già molto precaria (meno di 7.000 individui). Si calcola che a causa del cambiamento climatico solo nella catena dell’Himalaya possa scomparire più del 30% dell’habitat di questo felino.
• La tigre vive già in aree altamente frammentate: ulteriori perdite di habitat indotte dei cambiamenti climatici rischiano di compromettere gli enormi sforzi che Paesi come il Bhutan fanno, con il WWF, per salvare la tigre dal bracconaggio. Ad esempio, l'innalzamento del livello del mare sommergerà il 96% dell'habitat riproduttivo delle tigri di Sundarbans (la più grande foresta di mangrovie del mondo), mentre le tigri dell'Amur non arriveranno al prossimo secolo se continueranno a ridursi dimensioni e qualità del loro habitat.
• L’orso polare è tra le specie più sensibili al riscaldamento globale perché dipende dal ghiaccio marino per vivere e procurarsi il cibo. I più giovani, meno abili nella caccia, sono particolarmente colpiti dalla carenza di cibo dovuta al restringimento della superficie ghiacciata. Il declino è purtroppo già in atto: nella Baia di Hudson la popolazione è calata del 22% e si prevede che diminuirà bruscamente entro la fine del 21° secolo a causa dei cambiamenti climatici.